Caposele

Tappa prettamente naturalistica, alla foce del fiume Sele, il fiume più importante della Campania, distante solo 20Km dal nostro Centro Termale.

Le sorgenti del Sele che alimentano l’Acquedotto pugliese e per la località religiosa Materdomini che, con il Santuario di San Gerardo Maiella, ogni anno è meta di più di un milione di pellegrini.

Il suolo collinare del paese è principalmente occupato da terreni agricoli e querceti. Sui rilievi montuosi vi sono boschi rigogliosi, dove crescono alberi ad alto fusto come castagni, aceri di monte e faggi. Salendo di quota, il paesaggio cambia gradualmente, facendo posto a boschi di conifere e pascoli. La fauna del bosco è quella tipica dei Picentini, fra i cui rappresentanti spicca il lupo appenninico, più volte avvistato nel territorio caposelese. E’ rilevante la presenza del cinghiale, spesso responsabile di significativi danni alle coltivazioni. Si annoverano anche la volpe, il tasso, la faina, il gatto selvatico, la beccaccia, la poiana.

Lungo il corso del fiume, sensibilmente modificato dalla presenza dell’acquedotto, cresce una rigogliosa vegetazione dominata da pioppi, salici e sambuco. Sono ben rappresentati macroinvertebrati tipici dei corsi d’acqua montani, quali larve di Efemenotteri, Plecotteri e Tricotteri, indicatori di una buona qualità  dell’ecosistema. La temperatura dell’acqua durante l’anno oscilla fra gli 8 e i 10°C . Tale caratteristica fa sì che questa parte del Sele costituisca una zona vera per la trota, praticamente l’unico membro dell’ittiofauna locale. Sono presenti popolazioni non strutturate di trota fario e trota iridea, entrambe specie di immissione. La trota iridea viene impiegata in acquacoltura ed è stata utilizzata in programmi di ripopolamento su iniziativa del Comune. Delle specie autoctone non resta pressochè nulla. La popolazione di pesci ha subito un drastico calo in seguito a ripetuti episodi di inquinamento idrico avvenuti nel 2013.

Vietri sul mare

Una tappa davvero interessante alla scoperta dei paesini che arricchiscono la fantastica Costiera Amalfitana. Distante circa 60km dal nostro centro termale, è di sicuro una escursione da abbinare alla visita di altri paesini dell’entroterra amalfitano.

L’UNESCO ha dichiarato dal 1997 Vietri sul Mare (insieme agli altri paesi della costiera amalfitana) Patrimonio dell’umanità.
Si trova di fronte all’entrata settentrionale della città di Salerno, all’inizio della Costiera amalfitana. Il centro dell’abitato vietrese si estende collinarmente a ridosso della costa, ed alle pendici di esso si estende la zona Marina, frazione che affaccia direttamente sul mare.

Vietri sul Mare storicamente è identificata con l’antica Marcina, insediamento costiero prima etrusco-sannita, poi porto romano.

L’origine precisa di Marcina non è ancora del tutto definita anche se l’ipotesi più diffusa indica in Marina di Vietri, per la precisione nella valle del fiume Bonea alle falde del Monte San Liberatore, la sua presunta collocazione.

La pubblicazione a stampa della voce Marcina inizia nel XV secolo quando in Europa cominciano a diffondersi le prime edizioni tipografiche della Geografia di Strabone; la vera e propria diffusione del termine presso gli storici e nella pubblicistica si ebbe con il geografo Filippo Cluverio, il quale nel 1642 scriveva: “Marcinae oppidum illud est, quonunc dicitur vulgo Veteri”. Inoltre alcuni documenti medievali del “Codex Diplomaticus Cavensis” della Badia di Cava, i quali accennano all’esistenza di rovine di una urbs vetus che sarebbe alla base dell’odierno toponimo Vietri. In documenti del 969 e del 972 si dice “intus ipsa civitate, qui fuit ipsa cibita de beteri (=veteri)”; in quello del 972 si precisa che de locum de beteri ista et illa parte flubio Bonea iuxta litore maris.

La zona vietrese, con l’ancoraggio di Fuenti, possedeva un porto riparato, un approdo unico nella zona, dal momento che il lido della vicina Salerno, prossimo alla foce dell’Irno, era esposto ai marosi e soggetto ad insabbiamento.

Alla luce di questa considerazione “nautica”, le migliori condizioni di sicurezza suggerirebbero, dunque, la foce del Bonea, e di conseguenza Vietri, come sito ideale per l’insediamento di un emporio commerciale etrusco; in più alla luce della conformazione geografica del territorio, è quello vietrese l’unico centro sul mare, a sud di Punta della Campanella, a così breve distanza da Nuceria Alfaterna.

La sua storia fino al 1806 è stata associata a quella di Cava de’ Tirreni di cui era frazione. Marina di Vietri, infatti, era usata dai monaci della Badia come porto commerciale per gli scambi soprattutto con le zone a Sud di Salerno, quelle della “Piana del Sele”.

Dal 1806 al 1860 è stato capoluogo dell’omonimo circondario appartenente al Distretto di Salerno del Regno delle Due Sicilie.

Dal 1860 al 1927, durante il Regno d’Italia è stato capoluogo dell’omonimo mandamento appartenente al Circondario di Salerno. Oggigiorno il comune ha una forte influenza di Salerno, per cui vi sono progetti di inserire Vietri sul Mare nell’area metropolitana di questa città .

Nel 1944, quando Salerno fu capitale d’Italia per alcuni mesi, il Re Vittorio Emanuele III alloggiò nella vicina Villa Guariglia, sita in frazione Raito.

Luoghi di interesse

  • La Parrocchiale di San Giovanni Battista, eretta nel XVII secolo in stile tardorinascimentale napoletano, è caratterizzato dal duplice coronamento della cuspide del campanile in ceramiche dipinte; il portale è sormontato da un oculo chiuso nella seconda meta del XX secolo per inserire una figura del Santo patrono dipinto su ceramica. Nell’interno, a navata unica, gli altari sono decorati da maioliche e ceramiche tranne quello maggiore, realizzato in marmi commessi, interessanti sono i dipinti che partono dal XVII secolo e terminano al XVIII.
  • L’Arciconfraternita dell’Annunziata e del Rosario, di origine secentesca, è decorata in facciata da ceramiche dipinte; l’interno è stato affrescato nel XVIII secolo.
  • Chiesa di S. Margherita di Antiochia, nella frazione Albori.
  • Chiesa parrocchiale di Raito.
  • Chiesa della Madonna delle Grazie, nella frazione Benincasa.
  • Villa Guariglia, nella frazione Raito.
  • Torre di Marina di Vietri.
  • Torretta Belvedere, nella frazione Raito.
  • Torre di Dragonea (1100)
  • La Fabbrica di ceramiche Solimene (Video) è un esempio di architettura organica del secondo dopoguerra realizzato da Paolo Soleri, l’interno racchiude una vasta collezione di ceramiche contemporanee.
  • Ponte di Molina (1564)
  • Chiesa della Madonna dell’Arco, sulla stradina omonima che congiunge Marina di Vietri sul Mare con la Costiera Amalfitana, in corrispondenza di altra stradina / gradinata che porta su fino alla frazione di Raito. Queste stradine ripercorrono antichi sentieri che venivano usati dalla popolazione residente per rifugiarsi nelle zone alte di Vietri (le attuali frazioni Raito e Albori) per difendersi dagli attacchi dei Saraceni. Correlata alla difesa è la Torre di Marina di Vietri, sopra riportata. Questa, insieme alle altre torri di simile fattura (Salerno-Torre Angellara, Torre della Crestarella, vicina all’attuale Hotel La Baia, Torre d’Albori appartenuta alla famiglia Mellucci, nel vallone omonimo, Torretta di Cetara, Torre dei Normanni a Maiori) costituivano il sistema di avvistamento delle navi pirata. Le sentinelle sulle sommità delle torri si passavano i segnali con fuochi e fumi. Ogni torre poteva vedere l’altra.
  • Altri luoghi di interesse sono pure i sentieri che collegano le frazioni alte di Raito, Albori con le fonti naturali (Fonte del Cesare) e la frazione alte di Dragonea con la vallata di Cava de’ Tirreni e la Badia. In questo percorso si arriva a un bivio che porta ai percorsi della Avvocatella e della Avvocata. Quest’ultimo è detto “Sentiero degli Dei” perchè le viste che si possono godere sono divine e impareggiabili. Dal sentiero dell’Avvocata si arriva fino al Monte Pertuso sopra Positano.

Amalfi

La regina della Costiera Amalfitana, di importanza storica notevolissima e distante circa 78km dal nostro centro, è la tappa principale insieme a Salerno per una giornata in visita in Costiera Amalfitana.

l toponimo è di sicura origine romana ma con due ipotesi: a) derivazione da Melfi, città lucana, i cui transfughi giunsero sulla costiera fondando la città; b) derivazione dalla gens romana Amarfia (I secolo d.C.).

La sua fondazione viene fatta risalire ai Romani (il suo stemma reca la scritta Descendit ex patribus romanorum). A partire dal IX secolo, prima (in ordine cronologico) fra le repubbliche marinare, rivaleggiò con Pisa, Venezia e Genova per il controllo del Mar Mediterraneo.

Il Codice Marittimo di Amalfi, meglio noto col nome di Tavole amalfitane, ebbe una grande influenza fino al XVII secolo.

Amalfi raggiunse il proprio massimo splendore nell’XI secolo, dopodichè iniziò una rapida decadenza: nel 1131 fu conquistata dai Normanni e nel 1135 e 1137 saccheggiata dai pisani. Nel 1343, poi, una tempesta con conseguente maremoto distrusse gran parte della città.

Per tradizione, ogni anno un equipaggio di vogatori amalfitani partecipa alla Regata delle Antiche Repubbliche Marinare, sfidando gli armi delle città di Genova, Pisa e Venezia.

Per un errore di interpretazione di un testo latino, che riferiva invece che l’invenzione della bussola era attribuita dallo storico Flavio Biondo agli Amalfitani, il filologo Giambattista Pio sostenne che la bussola fosse stata inventata dall’amalfitano Flavio Gioia. Nel testo in questione (Amalphi in Campania veteri magnetis usus inventus a Flavio traditur), tuttavia, non bisogna intendere Flavio come l’inventore della bussola, ma solo come colui che ha riportato la notizia: appunto Flavio Biondo[4]. Tuttavia i navigatori amalfitani potrebbero essere stati tra i primi ad usare quello strumento. “Un’antica tradizione amalfitana si riferisce, invece, ad un certo Giovanni Gioia quale inventore dello strumento marinaro”.

Particolarmente fiorente nella storia della città e viva in due cartiere residue sulle molte presenti ed ormai in rovina, è l’industria cartaria, legata alla produzione della pregiata carta di Amalfi. In città  infatti è possibile visitare il Museo della Carta di Amalfi.

Luoghi di interesse

  • il Duomo
  • Chiesa di Santa Maria a Piazza;
  • Fontana di Sant’Andrea
  • Fontana di Cap ‘e Ciuccio
  • Valle dei Mulini;
  • Basilica del Crocifisso e museo diocesano;
  • Chiesa, convento e chiostro di Sant’Antonio;
  • Chiesa di Santa Maria Maggiore;
  • Chiesa della Madonna di Pompei, o di San Benedetto;
  • Chiesa dell’Addolorata;
  • Chiesa di San Nicola dei Greci, o San Biagio a Vagliendola;
  • Santuario della Madonna del Rosario;
  • Chiesa della Madonna del Pino, nella frazione Pastena;
  • Chiesa di Santa Marina (nella frazione Pogerola);
  • Santuario della Madonna delle Grazie;
  • Chiesa di San Pietro (nella frazione Tovere);
  • Cappella sconsacrata di San Cristoforo al Cieco

Ravello

Distante circa 95 Km dal nostro centro termale, è una piccola e caratteristica cittadina che ha acquisito rilevanza e visibilità grazie al famoso e panoramico centro turistico, scoperto e frequentato da numerose personalità di ogni arte, attratte dal suo richiamo intellettuale e dal fascino delle sue architetture e delle sue famose ville.

Ravello fu fondata nel V secolo come luogo di rifugio dalle scorrerie dei barbari che segnarono la caduta dell’Impero romano d’Occidente, ma per leggenda vi immigrarono dei patrizi amalfitani in seguito a uno scontro tra più fazioni della classe alta amalfitana, che sfociò quasi in una guerra civile.

La cittadina crebbe in popolazione, prosperando con l’arte della lana e con il commercio verso il mediterraneo e Bisanzio e raggiunse il suo massimo splendore dal IX secolo, sotto la Repubblica marinara di Amalfi e il Principato di Salerno.

Per volere del normanno Ruggero, figlio di Roberto il Guiscardo, Ravello divenne sede vescovile nel 1086 per porla a contrasto della troppo potente Amalfi.

Al volgere del XII secolo la città giunse a contare una popolazione di oltre 25.000 abitanti.

Nel 1135 riuscì a sostenere gli attacchi portati dai Pisani al Ducato di Amalfi, ma due anni dopo, nel 1137, dovette soccombere, fu saccheggiata e distrutta.

A seguito delle devastazioni cominciò il suo declino economico e demografico: a partire dal XIV secolo molti dei suoi abitanti si trasferirono a Napoli e dintorni anche se nel 1400 i patrizi ravellesi erano ancora molto attivi: esempio ne erano i Rufolo, banchieri del Regno di Napoli, all’epoca potentissimo (vedi Ladislao di Durazzo, Re di Napoli); fu il pesantissimo sistema fiscale dell’inefficiente governo spagnolo che ne determinò la decadenza, durata sino alla fine del XVIII secolo.

Dal XIX secolo, riscoperta da intellettuali e artisti, riacquistò la sua importanza come luogo di turismo culturalmente elitario.

Luoghi di interesse

Duomo di Ravello;
Chiesa di Santa Maria delle Grazie;
Chiesa di Santa Maria a Gradillo;
Chiesa di San Giovanni del Toro;
Chiesa di San Francesco;
Chiesa di Santa Chiara;
Chiesa di Sant’Agostino;
Santuario dei Santi Cosma e Damiano;
Chiesa di Santa Maria del Lacco;
Cappella di Santa Maria della Rotonda;
Chiesa di San Martino;
Palazzo Rogadeo;
Hotel Caruso;
Palazzo Sasso;
Palazzo Confalone;
Palazzo Tolla;
il Seggio della Nobiltà ravellese, ora in rovina;
il Palazzo Episcopale;
Palazzo (villa) Rufolo;
Palazzo Liberato;
il palazzo alla cui base vi è il Bar Calce, tuttora il maggior bar ravellese;
Palazzo della Marra;

Monumenti e altre architetture
L’Auditorium, opera di Oscar Niemeyer

Altri monumenti importanti sono, da Nord a Sud:

le porte del rione Lacco, le cui torri abitate sono uno spettacolo da vedere in una zona mai valorizzata dagli accentratori;
la Fontana Moresca, costruita con copie di frammenti dell’antico ciborio del Duomo, che dà il nome a Piazza Fontana (ex Platea S. Auditorii);
il monumento ai caduti, obelisco di stile littorio, in Piazza Fontana;
l’antico ospedale di Ravello;
l’Auditorium: progettato dall’architetto brasiliano Oscar Niemeyer.
il Museo “Camo” del corallo: di notevole fascino una tabacchiera del XVIII secolo incrostata di cammei.
Villa Cimbrone: edificio eclettico, con riutilizzo di frammenti antichi. Celebre il suo Belvedere.

 

Santuario San Gerardo Maiella

Escursione di puro impatto religioso ed emotivo, il santuario di San Gerardo Maiella è meta di riferimento di tantissimi pellegrini provenienti dalla Campania e dalle regioni limitrofe, nonchè da turisti esteri. Situato a meno di 20km dal nostro centro termale è una bellissima tappa da non perdere.

Figlio di un modesto sarto di nome Domenico e di una donna del popolo di nome Benedetta Galella, Gerardo Maiella era originario di Muro Lucano (PZ) dove nacque nel 1726. Dopo la prematura morte del padre entrò al servizio del vescovo di Lacedonia, mons. Claudio Albini. Morto questo prelato, Gerardo, che già avvertiva da molto tempo la chiamata del Signore alla vita religiosa, cercò invano di essere ammesso tra i frati cappuccini della sua città natale, a causa della sua salute cagionevole.

Nel 1748 ebbe modo di conoscere un gruppo di sacerdoti redentoristi impegnati in una missione popolare nella sua Muro e, contro il parere della madre, si unì alla nuova famiglia religiosa. Scappato di casa grazie all’aiuto di un lenzuolo usato a mo’ di fune per calarsi dalla finestra e lasciato un biglietto alla madre nel quale aveva scritto “mamma, perdonami, vado a farmi santo”, Gerardo si unì alla compagnia dei missionari redentoristi dai quali, solo dopo molte insistenze, fu accettato.

Lavoratore instancabile, nonostante la sua fragilissima salute che, dapprincipio, aveva reso i superiori restii ad ammetterlo nella Congregazione, Gerardo si contraddistinse sempre per il suo spirito di penitenza e per una giocondità d’animo non comuni. Il 16 luglio 1752, festa del Santissimo Redentore, pronunciò i voti solenni nella Congregazione Redentorista fondata da Sant’Alfonso Maria de’ Liguori nel 1732: nei conventi dove fu destinato si dedicò alle mansioni più umili senza trascurare la preghiera e la penitenza. I fedeli lo ricordano dotato del dono dei miracoli; nella sua breve esistenza i fatti prodigiosi raccontati e legati alla sua persona furono tanti e tali da meritargli in vita la fama di taumaturgo. Tra i tanti presunti miracoli si raccontano estasi, bilocazioni, scrutazione dei cuori, moltiplicazione dei viveri e guarigioni.

Fra i tanti ne citiamo alcuni. Anzitutto il miracolo del mare avvenuto a Napoli: in località Pietra del pesce una folla urlante assisteva agli inutili sforzi di alcuni marinai che, nel mare in tempesta, cercavano inutilmente di salvarsi. Accorso Gerardo sul luogo, subito, fattosi il segno della croce, iniziò a camminare sul mare e, afferrata la barca «con due ditelle», come raccontava ingenuamente lui a Materdomini ai confratelli, come se la cosa fosse normale, la trascinò a riva. Un altro miracolo degno di nota è quello relativo alla moltiplicazione delle derrate in occasione della carestia del 1754. In quell’inverno a Caposele molti erano coloro che, costretti dalla penuria di alimenti, bussavano alla porta del collegio redentorista. Gerardo, per sfamare tutti, vuotò letteralmente le dispense che, miracolosamente, si riempivano di pane e di ogni ben di Dio.

Amico dei poveri e dei contadini, Gerardo, che negli ultimi anni faceva il questuante, riscosse negli ambienti popolari un’ammirazione straordinaria. Si narra, infatti, che quando passava di paese in paese, ali di folla lo aspettavano sui margini delle strade per avere la sua benedizione o per vedere soltanto questo umile fraticello che, sempre col sorriso, si sforzava di salutare tutti. Ricchi, poveri, nobili, borghesi, umili facevano a gara per poterlo ospitare e godere della sua presenza. Era conosciuto come il padre dei poveri – così lo chiamavano – l’Angelo e l’Apostolo della Valle del Sele, che ancora oggi si gloria di custodire i suoi resti mortali nel Santuario eretto sulla sua tomba in Materdomini. Gerardo conservò sempre la sua encomiabile umiltà e la fede nell’obbedienza alla volontà di Dio manifestata dai suoi superiori.

Il suo animo umile brillò particolarmente nell’episodio della calunnia. Il fatto si verificò nel 1754: accusato ingiustamente da una certa Nerea Caggiano di avere avuto una relazione con lei, Gerardo non replicò e rimase in silenzio per un mese, subendo pazientemente le gravi sanzioni dei suoi superiori; finalmente la Caggiano, pentita, confessò di aver detto il falso, scagionandolo. Lo stesso Sant’Alfonso in quella occasione ne lodò l’ammirevole pazienza mostrata nella triste vicenda. “La fede mi è vita e la vita mi è fede” e “volontà di Dio in cielo, volontà di Dio in terra”, soleva dire e, soprattutto, osservare.

Gerardo Maiella oggi è universalmente invocato come protettore delle donne incinte. La leggenda narra che poco prima di morire aveva fatto finta di dimenticare, a Oliveto Citra, un suo fazzoletto presso la casa di una famiglia che l’ospitava. Una bambina, allora, gli corse dietro per restituirglielo, ma Gerardo le disse di tenerlo perchè un giorno le sarebbe servito. Passati alcuni anni – Gerardo era già morto – la bambina, diventata sposa, gridava per le doglie del parto. I medici la davano per spacciata. Giunta quasi in fin di vita, si ricordò² del fazzoletto di fratel Gerardo e volle che glielo posassero aperto sulla pancia. Appena ricevutolo, i dolori cessarono e la donna diede alla luce senza alcuna difficoltà il suo primo figlio.

Morì di tisi nel convento redentorista di Materdomini di Caposele all’età di 29 anni, il 16 ottobre 1755, dopo un breve periodo trascorso a letto durante il quale, si dice, non mancarono i fatti prodigiosi. Sempre secondo la leggenda la mattina dopo la morte del Santo, il fratello laico incaricato di suonare la campana a morto per dare l’annuncio funebre, fu preso da una forza misteriosa nelle braccia le quali, sottratte alla sua volontà, suonarono a festa le campane, dando così l’annuncio gioioso della nascita al cielo di Gerardo. La chiesetta dove il suo corpo venne esposto fu subito presa d’assalto da una moltitudine di gente venuta dalla vicina Caposele e anche da lontano, avvertita quest’ultima della morte del Santo.

Nonostante la sua causa di beatificazione fosse iniziata tardi (a 80 anni dalla morte) per diverse ragioni, continuo e crescente è stato nel corso del tempo il numero di coloro che hanno invocato il patrocinio di Gerardo. Per questa fama sanctitatis sempre viva e mai assopita, papa Leone XIII lo dichiarò² beato il 29 gennaio 1893; fu poi canonizzato da papa Pio X l’11 dicembre 1904. Una petizione firmata da migliaia di fedeli e centinaia di vescovi è stata presentata al Papa per far proclamare solennemente Gerardo Maiella patrono delle mamme e dei bambini per tutta la Chiesa Universale.

Il culto del Santo è presente in diverse parti del mondo, ed è particolarmente vivo nelle zone da lui visitate come Deliceto, i paesi della provincia di Avellino, tra i quali Lacedonia e Materdomini, che ne conserva le spoglie mortali, e ancora Corato (dove ne è compatrono), Muro Lucano, Vietri di Potenza, Pescopagano, Potenza, Monopoli, Molfetta, San Giorgio del Sannio; un suo santuario si trova pure nel territorio del comune di Piedimonte Etneo e vi è un ulteriore santuario a lui dedicato a Sant’Antonio Abate, paese di cui è compatrono e dove è stato fondato, nel 1930, l’ordine delle Suore Gerardine di Sant’Antonio Abate. A Lanzara dall’aprile 1903 è attiva l’Associazione delle Gerardine[1]. Il culto si è diffuso in maniera capillare anche in Europa, Oceania e America. Numerose, infatti, sono le chiese, gli ospedali e le Case a lui dedicate. Incessanti i pellegrinaggi alla sua tomba: si calcola che più di un milione di pellegrini vi si recano ogni anno per venerare le sue spoglie mortali. Il suo Santuario è particolarmente frequentato dalle giovani mamme. A tal riguardo degna di nota è la bellissima Sala dei fiocchi, le cui pareti e il cui soffitto sono ricoperti da migliaia di fiocchi rosa e celeste che le mamme, in segno di ringraziamento, hanno nel corso degli anni donato al Santo.
Il Grande spettacolo dell’Acqua

La vita di San Gerardo Maiella è rievocata, dal 2005, attraverso uno spettacolo intitolato Il Grande spettacolo dell’Acqua – Gerardo Maiella il Santo del Popolo, uno spettacolo di luci, suoni, teatro e danza che viene rappresentato in estate a Monteverde, località dell’Irpinia.

 

 

Buccino

Museo archeologico di Buccino

Distante circa 25Km dalla nostra struttura termale, il museo archeologico  nazionale di Volcei ospitato all’interno del convento degli Eremitani di Sant’Agostino, risalente al XIII secolo e successivamente ampliato nella forma attuale dall’architetto Natale da Ragusa nel 1474. L’esposizione raccoglie circa 5000 reperti e si snoda su di una superficie di 1.600mq disposta su quattro livelli suddivisi in diverse sezioni:

  • Dalla pietra al bronzo: frammenti di vita dalla preistoria
  • Nascita di un’identità  (VIII / VII sec. a.C.);
  • Principi e guerrieri (VI / V sec. a.C.);
  • Una Famiglia Aristocratica” (IV sec. a.C.);
  • Storia della città  (IV / I sec. a.C.);
  • La città  di marmo I sec. a.C. / I sec. d.C.);

I materiali esposti più importanti sono:

  • La tomba degli ori (tomba 270 III sec. a.C.);
  • Mosaico a tessere (risalente al IV sec. a.C.);
  • Cratere raffigurante la parodia del “Ratto di Cassandra” firmato dal ceramografo pestano Assteas;

Il Museo è aperto dal martedì alla domenica con il seguente orario: mattina 9:00-13:00 pomeriggio 15:00-19:00;

Coccolarsi un pò, inebriarsi di arte e colore, immergersi in acque limpide dai riflessi verde-azzurro Terme del Tufaro è tutto questo!!!

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